LA MAMMA DI ALESSANDRO

Da un dolore che non ha eguali, la morte di un figlio, alla scoperta di Dio e della preghiera, al matrimonio come sacramento, alla vita comunitaria come autentico sostegno per ogni percorso di risurrezione.

Voglio parlarvi della mia storia, anche se mi costa molto, perché sento di doverlo fare come ringraziamento a Gesù e a voi tutti che, anche senza conoscermi, mi siete stati vicini e mi avete aiutato in questa parte della mia vita.

Poco più di dieci anni fa mi sentivo una donna realizzata: la mia era una famiglia serena e felice. Mi sentivo una regina con mio marito e mio figlio Alessandro, figlio unico in quel momento, tra noi c’era un rapporto splendido.

Poi una sera Alessandro andò da solo a un concerto e alle 5 del mattino del giorno dopo i Carabinieri ci dissero che non sarebbe più tornato a casa: era morto in un incidente. Mio marito pianse, io no. Ebbi però uno sbandamento, sentii il respiro troncarsi, il buio spazzare i miei pensieri, il cuore impietrirsi; lo sentii fisicamente indurirsi e martellarmi aritmicamente nel petto.

Da quel punto in poi mi sono sentita un automa, morta dentro; tanti furono gli amici, i colleghi, i vicini di casa, amici e genitori degli amici di Alessandro, a starci vicino e a non lasciarci soli, ma quando rientravamo a casa il vuoto tornava. Il senso del tempo si era alterato per me. Presente e passato si erano divaricati: il presente era senza passato e il passato erano ricordi, progetti, aspettative per questo figlio: la nostra vita oramai ruotava intorno a lui. E adesso?

Cominciai a chiedermi: dove sarà ora Alessandro? Non può essere finito tutto.

Non essendo credente, non mi sposai in Chiesa e non battezzai mio figlio per non fare delle cerimonie solo formali a uso e consumo delle apparenze; il funerale però fu necessario farlo in Chiesa, perché non c’era possibilità di farlo in nessun altro posto.

Un mese dopo l’incidente alcune amiche quasi mi “costrinsero” a far celebrare una Messa di commemorazione, perché volevano ricordarlo con me: cercarono di convincermi dicendomi che comunque a lui male non avrebbe fatto… Mi convinsi allora che, se fosse servito ad Alessandro, sarei andata in Chiesa a sentire la Messa anche tutti i giorni; l’avrei fatto per lui, anche senza crederci.

Poi un giorno un’amica mi disse: . Acconsentii e andammo.

Quel giorno durante la Celebrazione sentii una particolare emozione: qualcosa dentro di me mi diceva che quel sacerdote credeva davvero in quello che stava facendo e dicendo e, dopo la Messa, la mia amica me lo volle presentare.

Ci tornai il mese successivo con mio marito e anche lui si emozionò. La mia amica intanto insisteva perché ricevessi una preghiera, ma io considerai la cosa piuttosto curiosa, se non “folcloristica”; non ne vedevo la necessità, per cui declinai l’invito.

Tempo dopo però, per una serie di circostanze, mi recai di nuovo lì e, quando arrivai, mi venne incontro il sacerdote della scorsa volta, peraltro molto giovane, qualche anno più di mio figlio, mi prese la mano e mi invitò ad andare a pregare con lui davanti a Gesù. Io ebbi un moto di fastidio, non sapevo che cosa significasse pregare, andavo in Chiesa solo perché forse poteva servire per mio figlio; gli chiesi: . Mi rispose con delicatezza e con uno sguardo pieno di compassione: . Mi arrivò una specie di pugno sullo stomaco, le gambe mi vacillarono: questa frase era riuscita a sfondare la barriera che mi ero costruita dentro e fuori, per contrastare e reggere la mia situazione di dolore di fronte agli altri: mi sentivo un animale ferito a morte, ma come un automa mettevo in fila le cose da fare, in casa, al lavoro, dal mattino fino alla sera.

Pensavo di dare un’immagine di me abbastanza forte, senza cedimenti. Perciò a quelle parole cercai di riprendermi, ma mi sentii svuotata, debole; la risposta non mi veniva e così mi arresi.

Andammo in una stanzetta adibita a cappella, mi mise davanti a un tabernacolo con il Santissimo, prese l’olio santo, si mise la stola, come nella confessione, e cominciò a pregare imponendomi le mani. Io, invitata a farmi il segno della croce, guardavo e ascoltavo un po’ perplessa e anche umiliata di essere stata così “scoperta”; nonostante questo stato d’animo poco partecipe, fui investita da qualcosa che mi stordì, mi fece rombare le orecchie e percepii un calore che mi investì la testa e il cuore. Mi sentii così per tutta la durata della preghiera e contemporaneamente vidi una luce luminosa che cercava di perforare un cielo nero di piombo.

Tornai a casa abbastanza scossa, anche perché avevo la sensazione che il mio cuore, proprio il muscolo cardiaco, che avevo sentito indurirsi la notte in cui morì mio figlio, si fosse normalizzato: non ne sentivo più la tensione, né percepivo più i battiti come prima.

Cominciai a riflettere su cosa mi fosse accaduto sentendo la necessità di andare a parlare col sacerdote, di confessarmi, di sapere in che cosa effettivamente consistesse la religione cristiana, chi fosse davvero quel Gesù di cui lui parlava in modo così dolce e sicuro; cominciai ad andare a Messa tutti i giorni e sentii la necessità di documentarmi, per capire meglio quelle parole in cui stavo decidendo di credere.

Quella prima preghiera mi aveva convinto di un paio di cose: una è che, senza partecipare in alcun modo, ero stata guarita fisicamente (la tensione del mio cuore e la mia pressione, che era sempre bassa, si erano stabilizzati e sono rimasti così); l’altra è che sperimentai un benessere psico-fisico che ricordo ancora perfettamente e che non era una suggestione, perché non avevo mai provato niente di simile e non avevo mai sentito parlare di qualcosa del genere.

Con mio marito cominciammo a frequentare regolarmente la parrocchia instaurando con il sacerdote un rapporto di fiducia e confidenza che ci permise di avere le risposte a molti dei nostri dubbi; io rimasi completamente affascinata da “questo” Gesù che non conoscevo e cominciai a procedere molto velocemente sulla strada della mia conversione, perché è questo che stava succedendo: io mi stavo convertendo.

Ebbi maggiore fiducia e quello che prima facevo solo per Alessandro, iniziò ad avere risonanza nella profondità del mio spirito; mi sembrava di percepire anche fisicamente la verità delle parole che ascoltavo. Da lì a poco realizzai che era necessario che anche mio marito si convertisse per poterci poi sposare in Chiesa.

Mi piace pensare che sia stato nostro figlio, che per amore nostro ha pregato Gesù di venirci incontro, perché ben sapeva che eravamo, soprattutto io, fermamente convinti a rifiutare l’istituzione della Chiesa e ciò che rappresentava.

Avvenne davvero: ci sposammo in Chiesa e l’anno successivo nacque nostra figlia Miriam dopo una gravidanza perfetta, senza alcun problema nonostante la mia età avanzata.

Frequentai il seminario per ricevere l’effusione dello Spirito Santo e mi radicai nella Comunità Gesù Risorto, in cui trovai il cammino giusto per i miei bisogni spirituali.

E tutt’oggi è così e, nonostante mio marito abbia scelto di fare un altro cammino di fede, partecipiamo insieme al Convegno annuale che per mia figlia è “un appuntamento fisso”.

Voglio ringraziare Gesù prima di tutto per averci dato Alessandro per 20 anni, per l’amore che ha dato a noi genitori e alle persone che lo hanno conosciuto. Lo voglio ringraziare perché oggi ho capito che veramente Lui è “il Signore e dà la vita” per davvero a chi gliela chiede, a chi è consapevole del proprio stato di bisogno.

Una volta io credevo di non avere bisogno di nessuno, neanche di Dio e questo credo sia il vero peccato originale di ogni uomo. Rifiutavo la croce perché mi sembrava un subire gli eventi in modo passivo senza reagire, come Gesù davanti ai suoi carnefici. Non aveva senso per me perché, durante tutto il corso della mia vita, i problemi avevo sempre cercato di affrontarli e risolverli in qualche modo. Ma la perdita di mio figlio no, era al di sopra delle mie forze, non c’era niente da affrontare e da risolvere, era l’annichilimento: la croce non era possibile rifiutarla.

Oggi credo che Gesù ci invita a portare le nostre croci non da soli, ma a credere in Lui, che si fa carico del nostro dolore, che le sa alleggerire, rendendole dolci; Lui ci conforta riempiendoci del suo amore (e non in senso figurato, ma per davvero, anche in maniera percepibile) e solo grazie a Lui le croci, che la vita ci riserva, diventano sopportabili .

Io posso testimoniare che davvero Gesù mi ha consolato e ha curato le mie ferite: oggi io mi sento risorta a una nuova vita e questa nuova vita non è nata per mia volontà, ma mi è stata donata per grazia.

Oggi sono un’altra persona, sento di avere bisogno di Dio e del suo aiuto in ogni momento della mia giornata e solo da Lui riesco ad avere l’energia e la forza necessaria per la vita di tutti i giorni, in famiglia, nel lavoro. Inoltre ho anche bisogno dei fratelli, per questo non manco mai agli incontri, perché sento come se “ricaricassi le batterie” con la preghiera comunitaria, grazie anche all’atmosfera di gioia e di condivisione che si respira.

Prego Gesù perché conservi la Comunità Gesù Risorto e le persone che la compongono nello Spirito Santo, perché è questo che la rende “speciale”.

Margherita – Roma

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