Ho trentadue anni e i primi trenta li ho trascorsi lontano dal Signore, perché nella mia famiglia la religione era considerata un aspetto piuttosto superficiale dell’esistenza. I miei genitori mi hanno fatto battezzare, ma poi non mi hanno accompagnato in un cammino di fede, così che solo un mese prima di sposarmi mi sono comunicata per la prima volta e sono stata cresimata.

Quando avevo cinque anni, l’età che ha adesso mio figlio, mi hanno mandato invece in una palestra per apprendere le arti marziali ed essere addestrata a combattere e a quattordici sono stata accompagnata da mio padre in un poligono di tiro, dove ho imparato ad usare le armi da fuoco. Oggi sono un istruttore di “karatè”, cintura nera terzo dan, e conosco benissimo le armi; cose queste che, come potete immaginare, allontanano molto dalla fede.

I “valori” che mi portavo dentro erano solo fare carriera nell’ambito del lavoro, avere un buon conto in banca, darmi alla “bella vita”, senza farmi mancare niente e commettendo per questo, con grande leggerezza, tutti i peccati capitali. E anche quando, dopo un brevissimo fidanzamento, Sante ed io ci siamo sposati, i valori sono rimasti quelli di prima. Anzi, devo dire che ero diventata ancora più rissosa e scontenta perché, nella mia nuova condizione di donna sposata, con una casa da portare avanti oltre al lavoro, non potevo più andare in discoteca e divertirmi; per cui le liti fra noi due sono diventate ben presto un fatto all’ordine del giorno, fin dai primi tempi del matrimonio.

Dopo un anno è nato nostro figlio Massimiliano e la situazione familiare è addirittura precipitata, perché ora c’era anche questo bambino da crescere… così, al colmo dell’ira e dell’esasperazione, un giorno ho aperto la porta di casa e me ne sono andata, lasciando marito, figlio, casa, tutto.

Però in questa condizione ho incontrato il Signore, quando una persona che lavorava con me mi ha fatto questo annuncio: “Vieni a pregare” e io, dopo un bel po’ di tempo, ho finalmente accettato l’invito, per curiosità non per altro.

Sono entrata in Comunità e ho cominciato ad assistere alla preghiera, ma dopo solo due minuti mi sono alzata per andarmene, convinta dentro di me che lì qualcosa non funzionasse. Invece, come sono arrivata alla porta d’uscita, non ce l’ho fatta ad andare via e sono tornata indietro; ho pianto per tre giorni consecutivi, senza saperne il motivo.

Da quel momento è iniziata una lotta durissima in me: da una parte c’era il Signore che mi chiamava e dall’altra io che non volevo accettare le sue regole e volevo scappare; una lotta che si è protratta per un anno e mezzo e a causa della quale sono caduta in depressione: non mi riconoscevo più, mi trascuravo anche come persona e non riuscivo più ad andare avanti. Anche perché man mano stavano crollando tutti quelli che erano stati i miei vecchi idoli: i soldi, la carriera, lo sport; alla fine l’unico pilastro rimasto in piedi era la famiglia, così un sabato, nella preghiera comunitaria a Don Bosco, sono caduta in ginocchio piangendo e implorando dal Signore: “Rivoglio la mia famiglia!”.

Ora voi potete immaginare quali siano i rapporti fra due persone separate, che ogni volta se ne dicono di tutti i colori… eppure solo il lunedì seguente mio marito mi telefona chiedendomi di passare insieme le ferie estive e, qualche giorno dopo, eravamo lì che parlavamo non solo di ferie, ma di tornare proprio insieme!

Io gli ho detto che ero disposta a riprovare, però volevo che anche lui venisse in Comunità, perché altrimenti sentivo che non ce l’avrei fatta ad affrontare di nuovo quella vita familiare in cui avevo già fallito. Lui era restio, il nostro bambino, intuendo la resistenza del padre, gli ha detto: “Guarda, papà che là c’è Gesù”. Non sono servite altre parole. Il sabato seguente eravamo tutti e tre in preghiera, abbiamo anche ricevuto insieme l’imposizione delle mani e quella sera stessa sono tornata a casa con loro e non sono più andata via.

Noi eravamo regolarmente separati in Tribunale: a marzo io ero andata via e a luglio eravamo davanti al giudice a ratificare la nostra separazione. A giugno dello scorso anno invece, nell’anniversario del nostro matrimonio, ci siamo “risposati” e abbiamo fatto ribenedire le nostre fedi. Oggi la nostra vita è cambiata, noi adesso siamo una famiglia. Avevamo dimenticato come si ride, adesso ridiamo e scherziamo insieme, perché ci è nata dentro una grande gioia di vivere.

Prima che ricevessimo tutti insieme l’effusione, ci è successa anche un’altra cosa molto bella: Massimiliano, all’asilo è andato più volte nel “riposo nello Spirito”. La maestra, preoccupata, mi ha mandato a chiamare, consigliandomi di farlo visitare perché, mentre correva, giocava e saltava, tutto a un tratto si buttava per terra, dormiva due minuti e poi si rialzava. Naturalmente non le ho potuto spiegare di che cosa si trattasse e poi, a casa, ho chiesto anch’io al Signore di farmi capire bene che cosa stava succedendo a mio figlio; così una notte, in sogno, Lui mi ha risposto: “Lo sto guarendo da molte ferite”. Ed è vero, Massimiliano sta proprio cambiando: prima era molto rabbioso, adesso è solo un bambino vivace.

Ma anch’io sono cambiata molto su questo aspetto, tanto che ora, pur continuando a praticare il mio sport e ad insegnarlo, non riesco più a combattere; non ne sono proprio più capace. È il Signore che sta operando in me e che, il giorno dell’effusione, mi ha promesso che mi renderà “madre di moltitudini”; e infatti già vediamo, Sante ed io, che Lui ci sta usando per trasmettere la sua vita ad altre coppie in crisi, affinché non si separino più.

Angela e Sante – Parr. “S.M. Immacolata e S. Vincenzo de Paoli” – Roma

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