“Questo è il tempo della Misericordia”

 

Dio della libertà e della pace, che nel perdono dei peccati ci doni il segno della creazione nuova, fa’ che tutta la nostra vita riconciliata nel tuo amore diventi lode e annunzio della tua misericordia.

 

<<Nell’ora della mia misericordia ti ho ascoltato, nel giorno della salvezza ti sono venuto in aiuto>>. S. Paolo riprende questo versetto da un testo di Isaia rafforzandolo con questa affermazione: <<Ecco, ora è il momento favorevole, ora è il giorno della salvezza>> (2 Cor 6,2).

Questo momento favorevole è l’“oggi eterno” di Dio, che si fa misericordia per ogni uomo, di ogni tempo e di ogni nazione, bisognoso di salvezza e perdono. La misericordia è il volto che l’amore di Dio assume per noi fin dalla creazione e lungo tutta la storia della salvezza. Il popolo d’Israele era ben consapevole che tutto dipendeva da questo amore. Il salmo 136, ad esempio, è una grande litania di ringraziamento per tutto quanto Dio ha compiuto per lui e a ogni versetto ripete: <<Perché eterna è la sua misericordia>>.

Ci sono tre parole che esprimono in ebraico la misericordia divina e che ritornano spesso nella Scrittura del Vecchio Testamento:

Heset = bontà, grazia, amore;

Hemet = fedeltà (in riferimento all’alleanza);

Rakamin = amore materno, bontà, tenerezza, pazienza, comprensione, prontezza al perdono.

Sono termini che ci danno un significato umano dell’amore di Dio e aprono il nostro cuore a una maggiore conoscenza di Lui, che è definito da S. Paolo “ricco di misericordia” (Ef 2,4) e “Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione” (2 Cor 1,4).

Per comprendere il significato di “misericordia” è necessario partire da un concetto fondamentale per la nostra fede: siamo salvati gratuitamente. In questa gratuità della salvezza c’è la rivelazione dell’amore di Dio, che ci ama a tal punto da “donarci il suo Figlio Unigenito, perché chiunque creda in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (cfr Gv 3,16).

È così bello pensare a questa gratuità d’amore con cui il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo operano la nostra santificazione per farci entrare nella loro comunione! Eppure l’uomo subisce ancora l’antica tentazione; quella di credersi autosufficiente, quella di non accettare di essere salvato gratuitamente. L’uomo moderno così razionale ed evoluto si sente a disagio nel riconoscere che deve a Dio la sua salvezza, in modo totale; vorrebbe potersi salvare da solo, e ne fa anche il tentativo.

Forse una delle ragioni per cui oggi si parla più di giustizia che di misericordia è proprio questa. Siamo più consapevoli di ciò che ci è dovuto che di ciò che gratuitamente riceviamo.

A motivo di questo si perde un po’ anche il senso del peccato, e quindi dell’ascesi cristiana alla quale ci portava – come conseguenza – la consapevolezza di essere peccatori, di avere difetti da cui correggerci e peccati da farci perdonare. Oggi si pretende di liberare l’uomo dal “complesso del peccato”, come se il peccato fosse una specie di problema psicologico, roba da Medioevo. Ci si compiace nel dire con assoluta disinvoltura che peccati non se ne sono fatti.

Anche quando meditiamo la parabola del pubblicano e del fariseo noi ci fermiamo alla prima parte. Diciamo tutto il male del fariseo, facendo i farisei noi stessi. Mentre il senso della parabola è proprio questo: che ogni uomo è peccatore. E non è peccatore in un episodio particolare della sua vita; ad esempio se ha rubato, se è stato un bestemmiatore, un uomo corrotto ecc.. Non è l’episodio negativo che lo fa peccatore, ma quella radicale cattiveria dell’“uomo vecchio” nella quale nasciamo e dalla quale siamo liberati gratuitamente per misericordia di Dio.

Il discorso della misericordia rimarrà sempre un discorso superficiale, se non saremo profondamente convinti della nostra condizione di peccatori che hanno bisogno continuamente della gratuità della salvezza. Nella lettera agli Efesini, S. Paolo ci ricorda questa verità: <<Ma la misericordia di Dio è immensa, e grande è l’amore che egli ha manifestato verso di noi. Ricordate, è per grazia di Dio  che siete stati salvati: infatti a causa dei nostri peccati, noi eravamo senza vita, ed egli ci ha fatti rivivere insieme con Cristo…>>. E più avanti: <<La salvezza non viene da voi, è un dono di Dio; non è il risultato dei vostri sforzi. Dunque nessuno può vantarsene, perché è Dio che ci ha fatti>> (Ef  2,5-8; 9-10).

L’esperienza della misericordia di Dio provoca una conversione che è l’inizio di un cammino di morte-vita; morte all’uomo vecchio del peccato perché cresca quello nuovo dello Spirito. Ben lo sappiamo tutti noi che siamo nella Comunità, da poco o tanto tempo.

Se la nostra vita è cambiata, se non siamo più quelli di una volta è perché le nostre vite sono state toccate da quest’amore gratuito del Signore. Ma c’è un rischio nel nostro cammino spirituale, che è quello di “finire nella carne, dopo aver iniziato nello Spirito”, come scrive S. Paolo ai Galati. Allora dobbiamo fare in modo che la nostra vita ritorni nello Spirito; cioè ritorni al Signore. E la conversione che cos’è se non un ritornare a Dio con tutto il cuore, sulla sua via?

Lungo la storia della salvezza il senso della conversione coincide, quasi sempre, con l’idea del ritorno sulla via di Dio. È l’uomo che dopo essersi ravveduto ritorna, ma è Dio che lo richiama usando verso di lui una grande pazconvegno2000ienza e una immensa misericordia.

<<Convertitevi e credete al Vangelo>> dirà Gesù all’inizio della sua missione. Egli è venuto per salvarci e ci usa misericordia; Lui stesso dice ancora oggi, a ognuno di  noi, a quelli che si riconoscono malati e peccatori: <<Non sono i sani che hanno bisogno del medico ma i malati,  non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori>> (Mt 9,12-13).

I giusti, poiché si ritengono tali, si autoescludono dalla storia della salvezza. I peccatori invece sono i prediletti di Gesù. Egli, Buon Pastore, cerca la pecora  perduta, ossia il peccatore, il povero in senso morale, colui che ha bisogno di salvezza. Le sue “viscere” si commuovono per la gente emarginata, la gente disprezzata, i pubblicani, quelli che avevano peccato (loro o i loro genitori), secondo la mentalità del tempo che attribuiva ogni sventura o malattia al peccato (es: il cieco nato, i lebbrosi).

Gesù rifiuta questa mentalità e la corregge. Entra nella casa e nella vita dei peccatori, s’intende con loro, sfidando l’opinione pubblica e il giudizio dei benpensanti, e opera la trasformazione di queste creature.

 

Entriamo nella gratuità dell’amore

 

Il peccatore che incontra Gesù, che è toccato dalla sua misericordia, si alza guarito nell’anima e nel corpo e non pecca più. <<Va’ e non peccare più>> dice Gesù all’adultera. <<Va’ e non peccare più>> dice allo storpio. È la parola della misericordia per dare un segno della salvezza che Egli opera.

Egli stesso è la misericordia. Chi lo accoglie come misericordia si trova graziato dalla misericordia, come il delinquente crocifisso con Lui, al quale dirà: <<Oggi tu sarai con me in Paradiso>> (Lc 23,43).

Com’è consolante e come ci dà gioia sapere che Gesù entra nella nostra vita, ci prende come siamo, nella nostra povertà e nella nostra miseria, ci tende la mano e ci dice: <<Alzati, vieni fuori dalla morte. Voglio che tu viva figlio mio, figlia mia. Voglio che tu guarisca!>>. E quando ci lasciamo afferrare da Lui, Egli ci trasforma con una salvezza che non finirà mai di dare frutti e con una purificazione che cresce sempre di più.

Nella nostra vita spirituale, se vogliamo entrare nella gratuità dell’amore, abbiamo bisogno di approfondire la dimensione della misericordia e della salvezza, liberandoci da una mentalità legalista e da un certo perbenismo che ancora ci affliggono e ci fanno pensare che l’amore di Dio bisogna guadagnarselo con digiuni e preghiere, con sacrifici e offerte… che per essere salvati, per meritare il Paradiso, dobbiamo pagare, dobbiamo soffrire… così come se dovessimo fare un contratto di lavoro, o comprare una merce.

Gesù ha dato tutto Se stesso per noi; ha già pagato con il suo sangue per tutti, per me e per te.

Il suo amore si riversa su di me perché sono peccatrice, no “nonostante” io sia peccatrice. Lui si china su di me perché ha compassione. La sua compassione penetra la mia miseria. Egli mi scruta e mi conosce, come dice il salmista, anzi si inabissa in me, arriva fino in fondo al baratro del mio peccato, fino al mio inferno. Lui mi strappa dalla morte, cancella la mia condanna, mi restituisce la dignità di figlia. E non ha paura di sporcarsi con me, non teme di contaminarsi. Per non perdermi arriva a farsi Lui stesso peccato… È qui la misericordia di Dio, la gratuità dell’amore. Un amore non dovuto, per nessun titolo, ma offerto semplicemente perché amore.

Se non facciamo l’esperienza di questa misericordia non possiamo diventare persone misericordiose, che operano con misericordia.

Ora la misericordia non è una specie di qualità o di temperamento della persona (ad esempio c’è chi ha un carattere intransigente e chi uno accomodante); la misericordia è un mistero di grazia che deve nascere dall’esperienza della salvezza.

La mia vita e quella vostra, fratelli e sorelle, è una storia di salvezza, una storia permeata dalla misericordia del Signore. Di conseguenza il  mio rapporto con voi diventerà misericordioso e allora non posso non gridare e testimoniare la mia esperienza diventando io stessa “sacramento”, cioè segno e strumento della misericordia di Dio.

Gesù non è solo l’incarnazione della misericordia, è anche il legislatore della misericordia. La sua volontà è che i rapporti tra i suoi figli siano rapporti di amore concreto, fondati sull’accoglienza e sulla sincerità, quella sincerità che ci fa togliere le maschere dell’ipocrisia e ci fa riconoscere di essere peccatori, che tutti abbiamo peccato e tutti abbiamo bisogno di essere perdonati. Questa è la realtà che ci accomuna. Se vogliamo che spariscano le violenze, le iniquità, gli egoismi, le ingiustizie, in modo che nasca una vera giustizia, è necessario che diventiamo  misericordiosi, altrimenti la giustizia rimarrà una parola vuota.

Allora io, in prima persona, essendo una povera peccatrice, ho bisogno di farmi perdonare molto, perché molto ho peccato. Il mio fratello, la mia sorella sono poveri peccatori come me, che hanno bisogno di farsi perdonare molto. Io non devo fare l’ipocrita, non ho il diritto di scandalizzarmi, non ho il diritto di prendere le distanze, di bollarli, mettendo loro il marchio di peccatori, di quelli che tanto non cambieranno mai.

Tutto questo è giudizio. Ci separa, mette il sospetto tra di noi e non crea certo unità. Ciò che ci fa entrare in comunione non è il sentirci bravi e buoni, dei grandi carismatici, ma è la solidarietà vicendevole nel sentirci oggetto dell’amore eterno di Dio. “Vermiciattolo di Giacobbe, larva d’Israele che amo e che stimo degno di fiducia”. Questo siamo per il Signore; ed è molto bello, però non è ancora sufficiente, perché ci vuole anche la nostra volontà e capacità a essere misericordiosi, ciò che implica una conversione radicale.

Ora radicale vuol dire proprio fino alla radice del nostro essere. Perché non possiamo fermarci alla conversione iniziale, di quando siamo arrivati in Comunità e abbiamo ricevuto l’effusione; bisogna che scendiamo in profondità, appunto fino alla radice.

Dobbiamo prima di tutto convertirci nella mentalità: <<Lasciatevi rinnovare da Dio con un completo mutamento della vostra mente…>>. Com’è difficile lasciarsi rinnovare e com’è faticoso resistere alla tentazione che ci vuole così come la pensa e si comporta il mondo, che ci propina il modello dell’uomo moderno: razionale, autosufficiente ed egoista! Quello che viaggia col codice e punta il dito contro colui che ha sbagliato. Questa mentalità così rigida e chiusa costituisce un impedimento alla misericordia.

Noi, come cristiani, facenti parte inoltre di una Comunità, non possiamo infierire contro chi ha sbagliato. Se vogliamo essere veramente giusti (della “giustizia” di cui parla il Signore), non possiamo aggiungere disgrazia a disgrazia, ma dobbiamo colmare, compensare l’infortunio del fratello con parole e soprattutto con atteggiamenti di  misericordia.

Noi siamo portati più facilmente a giudicare che a giustificare, al contrario del Signore, il quale nei confronti dell’uomo fa un altro discorso: <<Perché ti sei perduto e ti sei allontanato da me, io ti cerco, perché tu mi hai tradito io ti resto fedele!>>. Questa è la misericordia di Dio, cioè il rapporto che c’è tra la sua fedeltà e la nostra infedeltà. Questa logica di Dio, questa mentalità deve diventare la nostra anche nei confronti dei nostri fratelli. Anche quando sbagliano, anche quando ci offendono, ci deludono e ci tradiscono.

 

La beatitudine della misericordia

 

La capacità di essere misericordiosi implica altresì un cambiamento totale del cuore. Come insegnavano i profeti, il cuore deve essere “circonciso”, cioè deve sentire contrizione e umiliazione davanti a Dio, deve essere purificato dal fuoco dello Spirito perché si trasformi da cuore di pietra in un cuore di carne, capace di amare veramente.

Si potrebbe pensare che il cuore dell’uomo, naturale sede dei sentimenti e degli affetti, sia più disponibile alla misericordia. Ma non è così, perché il cuore fa sempre le sue scelte secondo come è disposto. “Va’ dove ti porta il cuore” dice il titolo di un romanzo e, se noi lo lasciamo andare per la sua strada, finisce magari con l’essere misericordioso soltanto verso chi lo merita.

Il cuore è veramente misericordioso se sa amare tutti gratuitamente, senza riserve e distinzioni, così come ama il Signore; e questo presuppone una profonda e continua purificazione, perché il nostro cuore è capace di amori immensi ma anche di ingiuste preferenze, di grandi simpatie e di altrettanti ingiusti rifiuti.

Quando nelle nostre riunioni di preghiera gustiamo la misericordia di Dio succede qualche cosa dentro di noi. Si sciolgono anche i cuori più duri, lo Spirito Santo ci dà delle illuminazioni e diventiamo creature capaci di comprendere i misteri di Dio e capaci di una vera comunione fraterna, sì da realizzare la beatitudine di cui parla Gebeati_misericordiosisù: <<Beati i misericordiosi!>>. Ma nella nostra vita familiare e comunitaria, nella nostra vita di relazione con gli altri bisogna ammettere che, prima di arrivare alla beatitudine della misericordia, dobbiamo passare per la fatica della misericordia e, fino a quando questa rimane tale, non è ancora autentica e non porta gioia.

La beatitudine della misericordia deve ispirare tutta la nostra vita. Per questo è importante che noi viviamo la comunione con Dio nutrita dalla preghiera personale, dai sacramenti, dall’adorazione, dalla Parola di Dio, nella consapevolezza che siamo oggetto di misericordia da parte di Lui.

È Lui che ci ama per primo gratuitamente e nella misura in cui siamo convinti di questo cresce la nostra volontà di corrispondere all’amore. Scambiarci l’amore di Dio è  la ragione più profonda della nostra sintonia spirituale.

La gioia di amarci nel nome di Colui che ci ama è la giustificazione del nostro amore fraterno. Quando ci diciamo (e dovremmo dircelo più spesso): <<Ti voglio  bene perché il Signore ti ama>>, noi ci impegniamo implicitamente a vivere il comandamento dell’amore: <<Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati>>. In questo modo le difficoltà per fare comunione a poco a poco si attenuano e la Comunità diventa il luogo dove si esercita la misericordia, specialmente laddove c’è bisogno di scambiarci il perdono.

Allora diventiamo strumenti di salvezza e di guarigione interiore e anche fisica. A questo proposito, quando nella preghiera chiediamo una guarigione al Signore, la prima condizione è di cacciare via il peccato, specialmente le radici dell’amarezza e del risentimento.

<<Tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato. Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, affinché il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati>> (Mc 11,24-25).

Se perdoniamo, saremo perdonati, se siamo disposti a guarire tutti gli altri, compresi i nostri nemici, saremo guariti e otterremo dal Signore il dono di raggiungere e convincere il cuore delle persone, di coloro che sono ancora lontani da Lui e dalla Chiesa, perché entrino per la Porta santa che è Gesù e siano salvi.

Il Signore ci doni lo Spirito di sapienza per comprendere il mistero della sua misericordia, di sperimentarla ancora una volta e di viverla con gioia. È una supplica che vogliamo mettere nelle mani di Maria, invocandola come Madre della misericordia. Anche il suo amore materno, ai piedi della Croce, è diventato partecipazione alla redenzione, offerta totale di sé con il Figlio, accettazione della sua morte per la salvezza dell’umanità peccatrice. È qui che Maria viene coinvolta nella infinita misericordia di Dio. Lei stessa ne diventa il segno più evidente. Così infatti aveva profetizzato fin dall’inizio della sua missione, quando aveva proclamato che “di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono” (Lc 1,50). Forse nessuna generazione ne ha bisogno quanto la nostra!

Allora questo Giubileo, quest’anno di grazia sia per noi un’opportunità, un dono immenso che ci offre il Signore attraverso la sua Chiesa, perché possiamo riconciliarci con Lui e con i fratelli ed essere rinnovati nella nostra vita dal soffio potente dello Spirito Santo.

Dunque con viva fede e sicura speranza accostiamoci al trono della sua grazia per ricevere misericordia, perché adesso, proprio adesso è il momento favorevole, adesso è il giorno della salvezza, giorno splendido preparato dal Signore per tutti noi. Amen, alleluja!

 

di Carmen Leonardi Serafini

Convegno Internazionale 2000

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