Un Popolo di Risorti

Una vena precisa percorreva tutti gli insegnamenti di Jacqueline: Gesù risorto chiama oggi tutto un popolo, e perciò ciascuno di noi, a vivere, comprendere e annunciare la Spiritualità della Resurrezione, con tutte le sue implicazioni.Vogliamo ripresentarne alcuni, inediti, che hanno contribuito a fondare e a formare la nostra Comunità.

di Jacqueline Dupuy Ancillotti

È la preghiera che ci fa comprendere la nostra vita di risorti, ma poi noi vogliamo comprendere anche con l’intelligenza quello che il Signore ci fa vivere, di modo che niente possa cancellarlo o farci dubitare. Cerchiamo di capire che cosa il Signore vuole quando ci riuniamo, perché la nostra è una Comunità carismatica e noi dobbiamo essere sempre più in ascolto dello Spirito. Come Maria, alla quale l’Angelo annuncia che sarà madre di Gesù. Questo è un annuncio carismatico, di un’importanza grandiosa, unica.Anche a noi, a un certo momento, lo Spirito ha annunciato che dovevamo far parte della Comunità Gesù Risorto.

Per ognuno è avvenuto in un modo diverso, speciale, unico nella storia dell’uomo: un modo carismatico. Ecco, tu dovrai far parte della Comunità Gesù Risorto!. Lo Spirito interverrà, non ti preoccupare; provvederà non aver paura. Allora abbiamo detto: Si compia quello che vuole il Signore. Tutti abbiamo avuto questo annuncio e tutti allora dobbiamo vivere questa esperienza carismatica. E il parto di questa esperienza siamo noi stessi: noi e i fratelli che il Signore ci fa partorire sempre più numerosi nella Comunità. È un parto continuo; il parto della gloria, della resurrezione. Il diavolo vorrebbe sconfiggerlo, vorrebbe farci fare degli aborti; noi non dobbiamo permetterglielo, come ha fatto Maria (un esempio unico, il più carismatico che esista) e dobbiamo pregare, convinti che è così.

Noi intraprendiamo un cammino per scoprire e vivere la spiritualità della Resurrezione. La spiritualità che il Signore, dopo tanti anni di vita nel Rinnovamento Carismatico, sta facendo maturare nel nostro cuore. Solo quando una cosa è vissuta profondamente, matura e può essere espressa.

Vorrei fare una piccola premessa su che cosa è una spiritualità. Tante volte, quando una persona prega, diciamo: È spirituale, ha molta spiritualità, e in questo senso è anche vero; però, se noi guardiamo alla storia della Chiesa, troviamo che la parola spiritualità ha un senso molto più profondo che “essere spirituale”.

Il Signore, nel corso dei secoli e secondo i bisogni delle varie epoche, ha mandato nella sua Chiesa, attraverso uno o più Santi, alcune spiritualità: con San Francesco la spiritualità della povertà, con Santa Teresa d’Avila la spiritualità della contemplazione, con San Benedetto la spiritualità della contemplazione nella vita monastica, con San Paolo della Croce la spiritualità della passione, con Santa Teresa del Bambin Gesù la spiritualità dell’infanzia spirituale. Per citarne solo alcuni.

Oggi, nel nostro tempo, che cosa ha fatto il Signore? Il nostro è un tempo particolarmente colpito dalla morte, dallo spirito di morte: questo secolo ha visto, in meno di venticinque anni, scoppiare le due guerre più devastatrici della storia, devastatrici delle case, delle vite umane, ma anche devastatrici dei cuori, delle mentalità; pensate alle ideologie di potere, dove il potere è stato deificato ed esteso a popoli interi.

Guerre che i più giovani non hanno visto, ma se non le hanno viste nella loro vita, le hanno viste sugli schermi, ne hanno visto le conseguenze, le hanno respirate, sono cresciuti nelle conseguenze di queste guerre. Poi una guerra fredda, una guerra ideologica che appena oggi comincia un po’ a sfumare, che è durata più di cinquanta anni, intrattenendo nel mondo focolai di guerriglia, di guerre che potevano sfociare in una nuova guerra mondiale, che questa volta avrebbe distrutto ogni possibilità di vita sul nostro pianeta.

Fratelli, noi abbiamo vissuto in questo ambiente, abbiamo respirato tutto questo. E guardate non c’è da meravigliarsi di tutti i drogati, di tutti gli sbandati, di tutto quello che il nostro mondo moderno ci mostra. L’argomento sarebbe inesauribile…

Allora cosa ha fatto il Signore? In questo nostro tempo sta facendo nascere, questa volta non da una persona, ma dal popolo stesso, il popolo stesso vittima degli inganni, delle guerre, dei plagi, della morte, da questo popolo il Signore, attraverso l’effusione dello Spirito, sta facendo nascere la spiritualità della Risurrezione!

E noi, piccoli come siamo, siamo stati chiamati a viverla e a capirla profondamente e poi a elaborarla tutti insieme. Come si fa a elaborare una spiritualità? Non è un’elaborazione del cervello, è accogliere giorno per giorno la luce che il Signore ci dà.

Mistica e Ascetica

Ora in una spiritualità ci sono due aspetti: la mistica e l’ascetica. Molto spesso nei tempi passati l’accento è stato messo sull’ascetica. Molti santi si frustavano con le spine, digiunavano… e dopo tanti anni di dure penitenze finalmente arrivavano ad avere delle esperienze mistiche. Ora tutta la mentalità della nostra Chiesa è ancora plasmata da queste esperienze.

Il Signore ha pensato: Io invece voglio dare la mia esperienza mistica prima. E questo, guardate, è biblico, perché Dio ci ha amati per primo dice San Giovanni. Non l’amore che noi abbiamo avuto per Dio, ma l’amore che Lui ha avuto per noi.
Anche quando facciamo una penitenza, è perché Dio ha già iniziato la sua opera in noi.

È Dio che comincia sempre per primo, anche con questo popolo; e noi tutti, prima dell’effusione, prima dell’incontro con il Rinnovamento Carismatico, sappiamo chi eravamo! Questo popolo da solo non può raggiungere il Signore. Allora è il Signore che ci raggiunge.

La nostra spiritualità è: non più la via verso la quale si arriva a Dio, ma la via per la quale Dio arriva a noi.

Guardate che questa è una verità che noi tutti abbiamo vissuto (e che è stata anche la causa di tante incomprensioni): Dio arriva a questo popolo e gli fa fare un esperienza mistica, subito.
L’effusione dello Spirito, fratelli, è un’esperienza mistica: noi tutti qui l’abbiamo fatta.

Ogni incontro con Gesù è un’esperienza mistica. Anche quando iniziamo a pregare, che cosa diciamo? Signore, io ti voglio, grido a Te e in questo grido c’è già lo Spirito; anche se io mi sento molto male, piena di combattimenti interiori, di peccato… il solo fatto che io gridi al Signore è già esperienza mistica: è lo Spirito che mi fa gridare. E se lo Spirito mi fa gridare è certo che lo Spirito risponderà al mio grido!
Il Signore risponde al nostro grido, non ci fa gridare a vuoto. E infatti noi sappiamo che attendiamo insieme lo Spirito e lo Spirito si manifesta.

E che cosa fa lo Spirito? Manifesta Gesù Risorto dentro di noi. Come lo ha manifestato negli Apostoli. Guardate che essi hanno capito veramente la Risurrezione solo quando lo Spirito ha manifestato nel loro cuore che Gesù era risorto. Prima gli chiedevano: Sarà adesso che Tu ristabilirai il regno d’Israele?. Avevano capito poco poco. Hanno capito la Risurrezione il giorno di Pentecoste. E noi capiamo la Risurrezione nell’effusione dello Spirito.

Ecco che cosa succede nell’effusione. Noi ci sentiamo gioiosi, nella pace, forti. Percepiamo l’amore e questo amore ci guarisce, e quest’amore suscita in noi un amore immenso per tutti. Non sappiamo esprimere quello che proviamo; diciamo: Mi sentivo leggera, mi sentivo come se non toccassi più per terra, mi sentivo quasi di volare…; vi ricordate?

Il profeta Geremia dice che Dio ha baciato il suo cuore. Che cos’è questo bacio? È il soffio del Signore, la bocca del Signore risorto che viene a baciare il nostro cuore.

Il nostro cuore è, in senso poetico, il centro della attività spirituale, della comprensione spirituale. Allora il nostro spirito riceve lo Spirito Santo e tutte le nostre facoltà umane vengono “bagnate”, illuminate dallo Spirito, e “potenzializzate” da Lui, risorgendo nella dimensione eterna. È l’eternità di Dio che rende eterno il nostro spirito: noi vivremo eternamente con Dio, in Dio.
Ecco, è questo che avviene nell’esperienza mistica dell’effusione: noi ci riempiamo di eternità, entriamo nella dimensione eterna.

Come concepire, fratelli, con la nostra mente umana, l’eternità? Dio vive nell’eternità e siccome noi viviamo nel tempo pensiamo che l’eternità per Dio è come il tempo per noi, ma non è così. Non c’è nessuna dimensione più grande di Dio. L’eternità è Dio stesso. Quando io dico che vivrò per l’eternità è perché Dio è dentro di me, perché Dio mi bacia il cuore di un bacio che non finirà mai. È questo bacio che mi fa rivivere per sempre con Dio. Allora il bacio di Dio ci fa entrare nella dimensione eterna.

Vedete che non è un’illusione o un’autosuggestione; solo Dio ci dà questa dimensione eterna. E siccome siamo ancora nel tempo, la dimensione eterna di Dio entra nel nostro tempo. Entra Dio nel nostro tempo! Entra in tutte le cose che facciamo, in tutte le nostre situazioni, le più banali, le più piccole, le più concrete, le più barbose, ma anche le più grandi, le più tragiche, quelle che noi non possiamo affrontare da soli. Pur vivendo anche situazioni di morte, non ci lasciamo prendere dalla dinamica della morte, perché l’eternità è in noi e abbiamo la pace dell’eternità.

Un’“anteprima” di resurrezione

Un’esperienza di risurrezione è la liberazione. Noi tutti siamo stati educati alla liberazione, ad autoliberarci e a liberare i fratelli; imponiamo le mani, pronunciamo alcune parole che Gesù ha pronunciato prima di noi e che ci ha detto di pronunciare. Ma tutto questo che cos’è? Chi è che libera, chi è presente in queste parole (se le pronunciamo nell’eternità, uniti a Gesù, nell’amore di Gesù)? È Gesù stesso! E la persona che si libera fa un’esperienza di risurrezione. E il diavolo, davanti alla liberazione, che cosa può fare, povero diavolo? Certo, se le nostre fossero solo parole… solo gesti…! Invece è il Gesù che è in noi che scaccia il diavolo! Però Gesù veramente deve essere in noi; non è la presunzione che deve essere in noi, ma Gesù.

Allora Gesù, che è in noi, scaccia il diavolo, che non può sentire la risurrezione, e così il fratello viene coinvolto nella risurrezione e si sente libero! E guarisce anche. La guarigione è un’anteprima della nostra risurrezione definitiva ed è una conseguenza della risurrezione di Gesù.

È lo Spirito di risurrezione che ha risuscitato Gesù dai morti che agisce in noi e comanda alle nostre cellule malate di fare la volontà di Dio. Non lo comanda a parole; ma siccome è Spirito ed è onnipotente, trasforma queste cellule, le rende buone, le mette in ordine e ci guarisce. Ma è sempre un’esperienza di risurrezione, tanto che la guarigione non è mai sola, è sempre accompagnata dalla conversione.

Alcune volte il Signore converte prima e fa collaborare il malato alla sua risurrezione, alla sua guarigione. Altre volte, siccome il malato è proprio chiuso, lo guarisce prima, ma sempre per farlo partecipare alla conversione e alla vita eterna.

A questo punto, fratelli, vedete la grossa differenza che c’è fra una guarigione fatta in Comunità e una guarigione fatta da un mago che ha dei fluidi nelle mani? Tutte queste cose devono essere chiarissime per noi e per quelli che avviciniamo per curare e per guarire. Ma per essere chiare dobbiamo viverle; se non le viviamo sono nozioni e poi passa un grosso vento diabolico e le nozioni se ne vanno. Se invece le viviamo, nessuno ce le può togliere.

Allora quest’amore è un amore che libera, riempie, risana e non si ferma a noi e ai nostri vicini, ma va “fino agli estremi confini della terra”. Quando noi diciamo che la nostra preghiera salva il mondo, forse alcuni che vengono per la prima volta possono pensare: Ma guarda questi chi credono di essere?; invece diciamo una cosa normale: se la nostra preghiera viene da Dio, se è Dio che è qui, Lui non si ferma a queste quattro mura, ma va fino agli estremi confini della terra. È vero, non è una superbia nostra; è la dimensione dell’amore di Dio!

Un’esperienza di risurrezione risuona, rimbomba in tutto l’universo e in tutti i secoli, così come risuona nel nostro piccolo cuore; e questa è la bellezza del Signore, che guarda contemporaneamente il piccolo e l’immenso, e siccome Lui è immenso, tutto diventa infinito attraverso di Lui.

Però, dopo aver vissuto insieme un’esperienza di risurrezione molto bella, usciamo da qui e ci ritroviamo nella macchina, nel freddo, nella nebbia, a fare tutti quei chilometri… e pensiamo: Ma questa esperienza di risurrezione perché il Signore non ce la fa durare sempre?. Poi c’è il bambino che piange… chi ha fame… chi brontola per una cosa… ed ecco che ricadiamo in dimensioni molto pratiche lasciando che si affacci di nuovo la morte, con il suo volto… Voi sapete queste cose!

Ma anche se le cose vanno bene, non rimaniamo sempre in quell’atmosfera universale, eterna, immensa… e pensiamo: Noi siamo tutti lì, a dirci tante belle cose… non sarà davvero un’illusione collettiva? e così la nostra ragione comincia il suo giro di critica; vuol capire, poverina, e siccome è piccola, siccome si è costruita sulle esperienze del mondo, cerca di immagazzinare l’esperienza spirituale nella sua dimensione umana.

Il nostro cuore però non è completamente arido, perché Dio è entrato, e piano piano questa esperienza riaffiora, e diciamo: Sì è vero, Signore, Tu mi hai dato questa pace e io non sono più come prima e sentiamo che la fede cresce in noi.

In dimensioni eterne

La fede è una percezione di Dio con il nostro spirito, con il nostro cuore, con tutto il nostro essere. È una certezza non ragionata, ma esistenziale; voi sapete cosa vuol dire: che abbraccia tutta l’esistenza.

La mia fede è la rivelazione intima che Dio mi fa di se stesso! È una dimensione che supera i miei ragionamenti e le mie sensazioni fisiche; una sicurezza ineffabile che io porto in me. Allora l’atto di fede è di buttarmi nel Signore con questa sicurezza ineffabile (che io non posso controllare con le mie dimensioni); lasciando anzi che l’amore eterno passi nelle mie dimensioni umane per tornare a Dio.

Per fede Abramo ha lasciato la sua città; per fede si è messo a camminare verso l’occidente, in mezzo ai deserti, dove non c’erano piste, (né tanto meno c’era la carta geografica!), in mezzo ai predoni e a tante difficoltà, verso un paese che non conosceva; per fede ha creduto di avere un figlio quando non poteva più averne.

Il Signore ci chiede questo: Per fede andate avanti!. Per fede. Mentre noi abbiamo piuttosto una mentalità magica e vorremmo che il Signore fosse pronto a darci subito tutto quello che gli chiediamo. Di tutto dovrebbe fare, perché siamo pigri e a noi converrebbe che facesse tutto. Signore, fammi superare l’esame, fammi chiedere l’unica domanda che so!. È così fratelli, siamo così.

E poi, se non sono guarita subito: Oh, il Signore non ha voluto guarirmi. Guarisce gli altri, ma non guarisce me. Invece il Signore mi vuole magari far crescere nella fede, illuminandomi su tutti i problemi e le angosce che mi porto dietro fin dalla mia infanzia, facendoli venire a galla piano piano, in modo che io ne prenda coscienza e partecipi alla mia conversione. E allora vedrò scomparire non solo la mia angoscia, ma anche il mal di testa e tutte le altre conseguenze.

Anche nei riguardi dell’effusione abbiamo una mentalità magica e crediamo che l’effetto dell’effusione dovrebbe essere eterno: se sono entrato nell’eternità sono eterno, perciò quello che sento dovrebbe durare sempre! È vero, però siamo anche nel tempo, e nel tempo il Signore vuole che noi gli chiediamo continuamente l’esperienza mistica: allora “sospende” quasi la sua onnipotenza, per così dire, perché noi possiamo ricercare e volere il bene, facendo lavorare tutte le nostre facoltà.

Lui vuole farci risorgere in ogni situazione, in ogni momento; vuole che l’esperienza di risurrezione che ho vissuto prima mi permetta di avere più fede, per chiedere quella che verrà!

Noi conosciamo questa via, ma ora dobbiamo percorrerla, mettendo un piede davanti all’altro; se rimango qui, c’è la strada ma non la percorro!

Il tempo è la dimensione della nostra crescita e intanto Dio aspetta l’uomo e noi aspettiamo Dio, però camminiamo tutti e due e l’esperienza di risurrezione è questo incontro, questa esplosione di potenza di Dio che, attraverso di noi, coinvolge tutta la terra.

Ora preghiamo che il Signore ci faccia vivere una nuova esperienza di risurrezione e ce la faccia interiorizzare, affinché non ci lasciamo mai più prendere dalla morte, per tutto il tempo che ci dona di vivere.

Questa è la vita carismatica, questa è l’ascetica della resurrezione: offrire continuamente al Signore, momento per momento, situazione per situazione, la nostra morte e aspettare veramente con tutto il cuore, con tutte le forze, lo Spirito di Risurrezione che Gesù risorto ci manda continuamente.

di Jacqueline Dupuy Ancillotti

Dopo l’esperienza di risurrezione, l’avete notato, noi ricadiamo nelle nostre misure umane, nei nostri limiti. Vorremmo che durasse sempre e ci domandiamo: — Come mai, dopo essere entrata nell’eternità, ne esco e ritrovo me stessa, con tutti i miei problemi, le mie debolezze, le mie ansie? Come mai, se sono entrata nell’eternità? –. È una grossa domanda.

Noi tutti viviamo nel tempo e allora questa esperienza di eternità Dio ce la dà situazione per situazione: ogni esperienza di eternità ci matura per viverne un’altra più grande.

Il Signore non guarda l’orologio, ma guarda ciò che noi viviamo e, se lo vogliamo, entra in ogni nostra situazione per farci risorgere. Che cosa possiamo fare noi, da parte nostra? Prendere coscienza di ciò che siamo e offrirlo a Dio.

In poche parole, offrire a Dio la nostra morte; perché tutta l’angoscia, tutti gli sconvolgimenti interiori, tutte le cose effimere, fragili, deboli, tutto il nostro peccato fanno parte della morte. E allora io offro al Signore la mia morte, la mia precarietà, il fatto che da un giorno all’altro mi posso ammalare, il fatto che morirò, che i giorni passano e mi portano via la mia gioia presente, la malinconia, il rimpianto dei nostri cari che non ci sono più… Tutte queste cose fanno parte della nostra morte, della nostra povera condizione umana e noi le offriamo al Signore: questa è la nostra parte.

Però ho certi momenti difficili perché sono arrabbiata o credo d’aver ragione, e allora voglio aver ragione e mi intrattengo in questa agitazione umana… Anche nel pastorale può succedere: io penso una cosa, l’altro ne pensa un’altra e ciascuno è sicuro di avere ragione e “per il bene di Dio” dobbiamo litigare, eh? In questi momenti dobbiamo offrire ogni situazione al Signore, perché la soluzione viene da Lui; così non solo risorgiamo noi, ma tutta la Comunità entra nella luce, nella pace, perché noi siamo carismatici e ci trasmettiamo queste cose.

Allora davanti a tutto questo noi ci diciamo: — Ma sarò capace di fare questa vita? Non è troppo pesante per me? Sono venuto qui e mi piace stare con i fratelli, ma questa vita, queste responsabilità, questi impegni che si accavallano, queste telefonate continue, questi pranzi freddi alle undici di sera (perché, quando siamo con i fratelli che hanno bisogno, salta l’ora normale del pranzo!)… Ce la farò? E poi c’è quello che brontola, quello che non è contento, quello che è sempre depresso e io sono sempre lì a dover confortare, pacificare… ma non finisce mai! Ce la farò? –. Ve lo chiedete questo?

E poi pensiamo anche: — Sono indegno, non sono capace; e poi non mi devo insuperbire, devo essere umile, le cariche non le devo prendere perché se no mi insuperbisco –. C’è qualcuno che ci ha già detto queste cose. — Poi, in fondo, sto anche bene nella mia famiglia, ho un marito gentile, una bella casa, un bel frutteto da coltivare… e poi ho un lavoro che mi interessa, lavoriamo tutti e due ed è già tanto, e poi ci sono i ragazzi, i vestiti da comperare… e poi… e poi… –.

Sulle ali dell’aquila

Allora a tutti questi incapaci, che siamo noi, il Signore dice: — Voi stessi avete visto che vi ho sollevato sulle ali dell’aquila e vi ho fatto venire fino a Me — (cfr Es 19,4).

Il Signore queste parole, prima di dirle a noi, le ha dette a un popolo di primitivi, a quel popolo d’Israele che usciva dall’Egitto, che brontolava nel deserto, che però ha anche attraversato il Mar Rosso a piedi e che seguiva la colonna di fuoco e di nubi. Ma questo, fratelli, non l’abbiamo fatto anche noi? In fondo, a modo nostro, ma quanti mari si sono aperti per noi! E anche noi abbiamo seguito questa colonna!

Ora ci troviamo tutti insieme sulle ali dell’aquila! Il Signore ci ha preso sulle sue ali. Voi sapete che gli aquilotti, che non sanno volare, nemmeno abitano nei cespugli come altri uccelli, che escono dal nido e dopo aver fatto quattro piccoli movimenti si ritrovano sull’erba; l’aquilotto esce da un nido sulla cima di un monte e se non sa volare cade nel precipizio. Allora l’aquila prende i suoi aquilotti sulle sue ali e vola, e quindi l’aquilotto incomincia a volare anche lui.

Il Signore fa la stessa cosa per noi. Ci fa volare sopra abissi tremendi, sopra l’abisso dell’inferno; perché in questo mondo c’è l’abisso dell’inferno e ne abbiamo avuto tutti un certo assaggio, chi in un modo, chi in un altro. Io ad esempio ho vissuto la guerra e sentivo questo inferno; non ho avuto un’adolescenza gioiosa, sportiva, ero disperata e mi dicevo: — Come farò a vivere? –. Poi il Signore mi ha fatto capire che c’era Lui. Ma un po’ tutti ci troviamo in questa situazione e il Signore ci rassicura: — Voi siete sulle mie ali –.

Noi voliamo su picchi di montagna, su vallate o burroni dove scorrono torrenti, sorvolando le difficoltà della vita. Questo inferno, queste tentazioni, questa confusione, questa tristezza, questa paura, tutte queste cose che hanno fatto sprofondare il nostro mondo contemporaneo così in basso. Sorvoliamo tutto questo sulle sue ali.

Ma la dimensione del nostro volo non è l’aria, è l’amore eterno di Dio, è Dio. Noi però non siamo capaci di mantenerci nell’amore eterno perché non siamo Dio, allora siamo presi, sollevati da Dio, Dio viene ad abitare dentro di noi e ci mantiene sulle sue ali.

Chi è l’aquila? L’aquila è Gesù; e noi siamo in Gesù. E il volo dell’aquila è il volo di Gesù, è la Sua missione: questo non è un volo che ci distacca dalle realtà della terra, ma che ci immerge in esse, per portarvi la dimensione dell’amore eterno, la dimensione della risurrezione.

Questa, fratelli, è la nostra vocazione: vivere questa spiritualità della risurrezione, portarla in ogni ambiente.

Poi, quando siamo degli aquilotti che possono un pochettino volare, l’aquila scende e ci fa volare un po’, pronta a riprenderci se siamo stanchi, e poi a rilanciarci di nuovo, sempre di più, in modo che possiamo “essere aquila con Gesù”! Vogliamo essere così? È veramente la nostra vocazione?

Se lo vogliamo diciamo di sì a Gesù e in questo sì troviamo nella fede tutta la forza per vivere sulle ali dell’aquila e fare con Gesù, in Gesù, il suo volo, la sua missione, le sue opere. Saremo perseguitati, ma riceveremo il centuplo; e quando Gesù usa questa espressione, parla ancora nella nostra misura umana, perché l’eternità è molto di più del centuplo, di tutto ciò che possiamo avere, è l’infinito: infinito amore per i nostri cari, gioia infinita, avremo tutto. Perché queste colline che guardo sono mie, non ho bisogno di avere un pezzo di terra sul catasto; guardo il cielo, guardo le meraviglie del Signore ed è tutto mio e questo è “possedere la terra”.

Anche il nostro desiderio di potere viene così convertito; l’uomo vecchio vuole il potere per sé, vuole avere tanti soldi, case, gioielli… per sé. Invece il vero desiderio è entrare nel Signore che ha ogni potere.

Questa è la nostra vocazione e dobbiamo convertirci quando ci troviamo a desiderare una cosa, anche un posto in Comunità. Dobbiamo convertirci, non annullarci: trasformare questi nostri desideri, da istinto di sopravvivenza in desiderio di vita, di resurrezione.

La cena con il Signore

Il Signore dice nell’Apocalisse: — Ecco io sto alla porta e busso, se uno mi sente e mi apre, io entrerò e ceneremo insieme, Io con lui e lui con Me — (Ap 3,20).

Il Signore che bussa alla nostra porta è il Signore risorto, è il Signore onnipresente, dunque sempre presente, in tutti i momenti. Non è che un giorno viene a bussare alla mia porta poi chissà quando tornerà; Lui bussa continuamente. E quale è questa porta, questa casa? È il nostro cuore. È il nostro spirito, siamo noi.

Il Signore bussa continuamente alla nostra porta; Gesù onnipotente e glorioso bussa e dice: — Forse uno mi sente! –. La prima cosa da fare perciò è aprire le orecchie dello spirito, perché tante volte non lo sentiamo nemmeno. Se pensiamo che Gesù bussa sempre, quante volte non lo sentiamo! Allora chiediamogli questo dono dell’ascolto, dell’ascolto spirituale.

Il nostro spirito, quando preghiamo, quando viviamo con Gesù, prende quota e comincia a “sentire”, e a trascinare la nostra umanità. E allora se noi sentiamo Gesù, certamente gli apriamo, non gli lasciamo la porta chiusa; gli apriamo e Lui ci dice: — Ceneremo insieme –!

Nel tempo in cui San Giovanni ha scritto questo, ma anche nei nostri tempi, la cena è proprio la comunione, l’agape: quando invitiamo i fratelli a cena, vuol dire che sono intimi della nostra casa, perché noi condividiamo il nostro cibo con loro. Allora Gesù vuole cenare con noi e dice: — Io con lui — cioè Gesù viene e condivide ciò che è nostro. Insomma prende la nostra umanità, si fa carico dei nostri pesi; viene ad abbracciare tutto ciò che è nostro.

– Io con lui e lui con Me –.

– Lui con Me — vuol dire che ci prende con Sé e mentre «Lui con noi» condivide la nostra umanità, — noi con Lui — condividiamo la sua divinità.

È una cosa meravigliosa, ma è di tutti i giorni, di tutti i momenti. Gesù bussa e vuole vivere questa situazione con noi e da questa situazione, se è Gesù risorto che la vive con noi, uscirà la sua risurrezione. Se sono mancata in quell’incarico, se sono incompreso dove sono, se ho difficoltà in famiglia, se i miei figli mi deludono e non fanno quello che desidererei vederli fare… in tutte queste situazioni Gesù bussa per prenderle su di Sé e farle risorgere, servendosi del nostro cuore.

Tante volte sentiamo però un blocco, come se ci fosse un muro tra Gesù e noi, e anche se cerchiamo di pregare, la preghiera non parte, e non riusciamo a capire che cos’è che ci impedisce di essere completamente in rapporto con Lui. Allora Gesù risorto cosa fa? Ci dice: — Dammi il tuo peccato, dammi la tua morte –!

Quel diaframma è la mia morte. La morte e il peccato sono la stessa cosa: non è la morte fisica del corpo, è la morte del peccato, che ci fa temere di essere indegni e ci fa giudicare da noi stessi, per cui pensiamo: — Non è possibile che Gesù risorto venga proprio da me! –. E allora qual è il rimedio? È tanto semplice, fratelli, viviamo la nostra morte e offriamola a Lui: — Signore, io ti do la mia morte, io ti do il mio peccato; vieni e prendilo –. Gesù si è caricato di tutti i peccati del mondo, dunque anche del mio, non è che ha lasciato il mio per conto suo! E allora io gli do il mio peccato, la mia morte, e che cosa succede? Appena io ho dato (veramente, con tutto il cuore) il mio peccato, la mia morte, Gesù risorto mi fa risorgere. Mi fa risorgere personalmente se io sono a quattr’occhi con Lui e ci fa risorgere comunitariamente se stiamo tutti insieme a pregare.

Alcune volte nella preghiera comunitaria quei poveri animatori là davanti sentono una fatica, una fatica… però la preghiera non parte; ma in quel momento, se noi offriamo al Signore la nostra morte e aiutiamo ciascuno dei fratelli a fare altrettanto, subito arriva la liberazione, arriva la risurrezione! È facile, ma il diavolo, che è un brutto diavolo, in certi momenti ci ottenebra e continua ad accusarci e noi continuiamo ad accusarci e ci diciamo: — Non so animare la preghiera, ma chissà quanti diavolacci ci saranno nella sala oggi che ci impediscono di pregare… –. Invece basterebbe offrire la nostra morte e saremmo tutti risorti e così i diavoli, se ci sono, se ne vanno.

Di resurrezione in resurrezione

Questa è la “cena con il Signore” e direi che è un caposaldo della nostra vita carismatica. In questa cena c’è dunque un’attesa del Signore, perché per sentire il Signore io lo devo attendere, se non lo attendo, se non lo aspetto, non lo sento; e più il mio desiderio è grande, più l’effusione dello spirito di risurrezione va profondamente nel mio cuore. In fondo la nostra crescita è questa: all’inizio davamo un po’ di spazio al Signore e il Signore riempiva questo poco spazio; ma man mano che andiamo avanti, di risurrezione in risurrezione, (San Paolo dice “di gloria in gloria”), lo spazio di Gesù dentro di noi aumenta. Gli diamo più tempo; non gli calcoliamo più il tempo, non guardiamo più continuamente l’orologio, facciamo anche mezzanotte senza accorgercene. Non solo il tempo materiale, ma anche l’amore non lo misuriamo più e amiamo tutti nello stesso modo con l’amore di Gesù, perché Gesù fa cena con noi e fa cena con quelli che invitiamo, che sono i nostri fratelli.

Questa è la vita carismatica, questa è l’ascetica della resurrezione: offrire continuamente al Signore (momento per momento, situazione per situazione) la nostra morte e aspettare veramente con tutto il cuore, con tutte le forze, lo Spirito di Risurrezione che Gesù risorto ci manda continuamente. La nostra parte è attendere.
Naturalmente se attendo il Signore, non vado a commettere dei peccati grossolani, non dico il male del prossimo, evito tutto quello che non piace a Gesù. Se so che viene, preparo un po’ la casa, spazzo un po’ per terra, spiritualmente. Certo, tutto quello che dico sottintende che già c’è il minimo di pulizia che la vita cristiana esige.

E allora, se io attendo così il Signore, ma con tutto il mio cuore, le mie forze, il mio desiderio, io gli do la mia morte e tutte le dimensioni della mia morte, quelle che io non conosco neanche, perché la morte è nella mia eredità, è dentro di me, nel tempo che passa. Insomma tutti i giorni viviamo la morte e allora se io do a Gesù tutte queste dimensioni della morte, Lui le fa risorgere tutte. Io rivedo il mio passato e anche le cose brutte del mio passato, le ferite che ho ricevuto, ma non le vedo più come ferite, le vedo come guarigioni. Vedo l’amore di Dio che mi ha amato in quel momento e che mi ha salvato. Anche guardando il mio avvenire, so che inciamperò ancora, perché non sono perfetta, ma io sono sulle ali dell’aquila e so che l’amore di Dio ha già salvato, nell’eternità, tutti i miei errori. Questo non è un incoraggiamento a fare degli errori! Però è un incoraggiamento a non temere più gli eventuali errori, perché l’amore di Dio è più grande.

Diventiamo anche profondamente ottimisti: non in senso umano, perché abbiamo un buon temperamento, ma perché guardiamo alla Storia (e anche a tutte le piccole storie che ci circondano) con lo sguardo della risurrezione.

Per questo la nostra conversione è più semplice e più efficace. Prima di conoscere la vita carismatica, io facevo del tutto per convertirmi, ma il peccato che cacciavo da una parte si riaffacciava dall’altra; lottavo con un difetto e ne arrivava un altro. Poi se riuscivo a vincere questi difetti, cosa succedeva? L’orgoglio! Questo è l’uomo quando lotta contro i suoi difetti con le sue forze. Poi diventa anche molto esigente e accusa tutti gli altri. Noi non ce la facciamo da soli a uscire dal nostro peccato, a uscire dalla nostra angoscia!

Qual è invece la conversione carismatica? Nella vita carismatica facciamo poche prediche, nel senso moralistico, ma viviamo attimo per attimo offrendo le nostre situazioni a Gesù e chiedendogli la Sua potenza, chiedendogli di fare Lui le cose nella nostra pelle, di agire per mezzo nostro: è questa la conversione!

Invece di agire con le nostre piccole forze, la nostra piccola testa, i nostri limiti e i nostri peccati, noi chiediamo a Gesù, lo ripeto, di agire per mezzo di noi! E allora tutto ciò che facciamo è toccato dal suo amore e tutta la nostra vita diventa carismatica, data da Dio in dono a tutti i fratelli presenti, lontani e futuri.

(Tratto da una registrazione, dicembre 1989 – Inedito)

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