«Occorre difendere i poveri, e non difendersi dai poveri, che occorre servire i deboli e non servirsi dei deboli!». Il duro monito del Papa arriva durante la celebrazione di ringraziamento per la fine dell’anno, in un’omelia che va al cuore dei problemi attuali di Roma con un riferimento diretto alla vicenda di “Mafia Capitale”.
«Senz’altro – dice Francesco davanti a cardinali, vescovi e a migliaia di fedeli convenuti nella basilica di San Pietro per i primi vespri della solennità di Maria Santissima Madre di Dio nel pomeriggio del 31 dicembre – le gravi vicende di corruzione, emerse di recente, richiedono una seria e consapevole conversione dei cuori per una rinascita spirituale e morale, come pure per un rinnovato impegno per costruire una città più giusta e solidale, dove i poveri, i deboli e gli emarginati siano al centro delle nostre preoccupazioni e del nostro agire quotidiano. È necessario un grande e quotidiano atteggiamento di libertà cristiana per avere il coraggio di proclamare, nella nostra città, che occorre difendere i poveri, e non difendersi dai poveri, che occorre servire i deboli e non servirsi dei deboli!».
Parole che arrivano pochi giorni dopo la «Preghiera per Roma» promossa dalla diocesi dopo la vicenda di “Mafia Capitale” e presieduta dal cardinale Vallini a Santa Maria Maggiore. Il Papa, nell’omelia a San Pietro, ricorda poi l’insegnamento di un semplice diacono romano, Lorenzo, grande testimone di carità del III secolo, martirizzato durante la persecuzione voluta dall’imperatore Valeriano.
«Quando chiesero a San Lorenzo di portare e mostrare i tesori della Chiesa – afferma Francesco – portò semplicemente alcuni poveri. Quando in una città i poveri e i deboli sono curati, soccorsi e aiutati a promuoversi nella società, essi si rivelano il tesoro della Chiesa e un tesoro nella società. Invece, quando una società ignora i poveri, li perseguita, li criminalizza, li costringe a “mafiarsi”, quella società si impoverisce fino alla miseria, perde la libertà e preferisce “l’aglio e le cipolle” della schiavitù, della schiavitù del suo egoismo, della schiavitù della sua pusillanimità e quella società cessa di essere cristiana».
Proprio alla schiavitù causata dalla ferita inferta dal peccato originale e alla liberazione portata da Gesù il Papa fa riferimento all’inizio dell’omelia. «Esiste sempre nel nostro cammino esistenziale una tendenza a resistere alla liberazione; abbiamo paura della libertà e, paradossalmente, preferiamo più o meno inconsapevolmente la schiavitù. La libertà ci spaventa perché ci pone davanti al tempo e di fronte alla nostra responsabilità di viverlo bene. La schiavitù, invece, riduce il tempo a “momento”» e «ci impedisce di vivere pienamente e realmente il presente».
Francesco cita «un grande artista italiano» (Roberto Benigni), il quale «qualche giorno fa diceva che è più facile togliere gli israeliti dall’Egitto che l’Egitto dal cuore degli israeliti». «Nel nostro cuore si annida la nostalgia della schiavitù, perché apparentemente più rassicurante, più della libertà, che è molto più rischiosa. Come ci piace – sottolinea il Papa – essere ingabbiati da tanti fuochi d’artificio, apparentemente belli ma che in realtà durano solo pochi istanti! E questo è il regno, questo è il fascino del momento! Da questo esame di coscienza dipende anche, per noi cristiani, la qualità del nostro operare, del nostro vivere, della nostra presenza nella città, del nostro servizio al bene comune, della nostra partecipazione alle istituzioni pubbliche ed ecclesiali».
Al termine della celebrazione, l’esposizione del Santissimo Sacramento, il canto del tradizionale inno Te Deum di ringraziamento a conclusione dell’anno civile, e la benedizione eucaristica; quindi la visita del Papa presepe allestito in piazza San Pietro.
Fonte: vicariatusurbis