Nel turbinìo della mondanità, nell’incessante susseguirsi di festività create per rispondere a bisogni non reali ma di natura esclusivamente consumistica (e quindi utili solo alle industrie, che propongono di volta in volta prodotti “ad hoc”), da qualche anno sta prendendo piede anche da noi quella di Halloween, diffusa fino nelle scuole e addirittura negli asili nido. Ricorre la sera del 31 Ottobre e viene sovente ricondotta a una festa tradizionale americana. In realtà è stata importata negli USA intorno al 1850 dagli Irlandesi, che vi migrarono a seguito di una forte carestia, e trova le sue origini nella cultura celtica dominante in Francia, Irlanda, Scozia e Inghilterra nell’epoca pre-cristiana; gli americani hanno solamente il merito della sua commercializzazione e diffusione su larga scala (caratteristica tipicamente americana). Per le civiltà presenti in Europa prima del dominio di Roma, Halloween aveva una valenza fortemente religiosa, legata strettamente alla cultura dell’epoca e caratterizzata da tutta una serie di rituali che assicuravano prosperità alla comunità che le praticava. Come festività si può ricondurre alla nostra vigilia di Capodanno; tant’è vero che i Celti consideravano come inizio dell’anno il 1° Novembre, perché con il mese di Ottobre terminavano tutte le attività lavorative legate alla raccolta dei frutti della terra (specialmente del grano) e iniziava un periodo di riposo, nel quale si godeva di tutto ciò che la terra aveva offerto. E come noi ringraziamo il Signore per le grazie concesse durante l’anno che sta per chiudersi e per ciò che ci concederà con il nuovo, così anche i Celti ringraziavano Samhaim, una divinità considerata “il signore della morte e il principe delle tenebre”.
C’era inoltre la credenza che, in questa notte, gli spiriti dei defunti potessero mettersi in contatto con i vivi; pertanto ci si assicurava l’immunità da eventuali scherzi da parte loro accendendo nel bosco un fuoco sacro, che poi veniva portato nelle case dentro cipolle o rape intagliate (gli americani le hanno sostituite con le più pratiche zucche), offrendo appropriati sacrifici animali e indossando le pelli degli stessi animali uccisi, per incutere timore agli spiriti. Soltanto più tardi, in Irlanda, nasce l’usanza di lasciare un po’ di cibo fuori dalle porte, per placarli. Come Cristiani non possiamo che riconoscere in tali riti una forte mentalità magica e superstiziosa, che è tipica delle religioni pre-cristiane e che dobbiamo ritenere sorpassata dall’avvento di Gesù. San Paolo lo spiega chiaramente nel capitolo ottavo della lettera ai Romani: E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!”. Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E, se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria». Consapevoli di questa eredità, non possiamo ricadere in una mentalità guidata dalla paura. Halloween è solamente una delle tante pratiche che non rispecchiano l’autenticità della nostra natura di figli di Dio, come quella del malocchio, della consultazione degli oroscopi, dell’attaccamento a oggetti propiziatori, dell’esagerata attenzione a numeri e a segni. Tutte pratiche e mentalità da abbandonare, poiché non ci portano alla salvezza ma, condizionando le nostre scelte di vita, ci fanno ricadere in una condizione di schiavitù. La Santa Madre Chiesa, che è maestra di vita, nell’835 ha spostato la celebrazione della festa di Ognissanti dal 13 Maggio al 1° Novembre per donare ai Cristiani dell’epoca, ancora eccessivamente legati alle pratiche tradizionali arcaiche, una nuova prospettiva, l’ottica dei redenti, di coloro che non devono temere più nulla, perché sanno che il Signore li salva e protegge. La celebrazione della Santa Eucaristia in memoria di tutti i Santi e in suffragio delle anime dei defunti (rispettivamente il 1° e il 2 Novembre) è veramente l’unico rito che dona salvezza a tutti noi e ai nostri cari, per mezzo di Gesù Cristo Nostro Signore, unico Eterno Sacerdote e unico Salvatore.
Oggi, nel centro della tempesta materialistica, ancora di più è indispensabile per noi testimoniare coerentemente nella vita quello che già professiamo con il cuore e la bocca, che cioè la salvezza viene solamente dal Cristo morto e risorto per noi, e conformarci coraggiosamente e fortemente alla nostra chiamata e agli insegnamenti della Chiesa. La maggior parte delle persone non si oppongono a questa festa, né a tante altre pratiche, perché ritengono che non ci sia nulla di male: Halloween sarebbe soltanto un’occasione in più per poter uscire dalla quotidianità, indossando costumi mostruosi, trasgredendo le regole, oltrepassando il limite del “perbenismo” che spesso ci tiene a distanza dagli altri. E anche per mangiare dolci a base di zucca ed acquistare tutta una serie di prodotti che, di anno in anno, diventano sempre più specifici e inequivocabili. Ma chi non riesce a trovare niente di male in tali festeggiamenti, si chieda almeno se trova giovamento da questa “esaltazione del macabro”. Di certo, nel mascherarsi da mostri, non si esalta la vita; tanto meno può essere considerato un metodo valido per poter insegnare ai bambini (come sostengono molti educatori) “come gestire” le proprie ansie e paure. Sicuramente non si scacciano le paure assumendo un aspetto terrificante, né tanto meno passando dalla parte dell’aguzzino; piuttosto il bambino imparerà questo: «Hai paura dei fantasmi o dell’uomo nero? Vestiti e comportati come uno di loro! Trasformati e non avrai più paura!». Come si sentiranno i bambini a mettersi nei panni di qualcuno o qualcosa che non amano? Come scopriranno se stessi, la propria forza, le proprie capacità, se per affrontare le piccole paure della loro giovane età si maschereranno, nascondendosi dietro un ruolo che non è il loro? I bambini hanno bisogno, più di ogni altra cosa, di riferimenti sicuri, non di nuove dimensioni nelle quali calarsi; hanno bisogno di avere bene i piedi piantati a terra e di poter conoscere i propri limiti e i propri pregi, senza vergognarsi di se stessi e delle proprie paure. Dobbiamo inoltre ricordarci che i bambini non hanno grandi esigenze: aldilà dei capricci, che vanno e vengono, il loro più grande bisogno, per crescere felici ed equilibrati, è il sentirsi amati e considerati dalle persone che li circondano, in particolare dai genitori e dagli educatori; per questo dobbiamo accompagnarli in un percorso di crescita psicofisica e cognitiva progressiva che non li precluda dalla verità, naturalmente rapportandola e avvicinandola ai loro limiti cognitivi e alla loro piccola esistenza. Facciamoci “portatori della Verità” senza timori e ansie; rendiamoci testimoni dell’opera di salvezza che abbiamo sperimentato nella nostra vita e obiettiamo con semplicità e cordialità a questa celebrazione, proponendo percorsi alternativi per l’educazione dei bambini e per l’edificazione di tutta la comunità sociale. Diamo una nuova impronta alla nostra esistenza, aderendo alle iniziative proposte dalla Chiesa che valorizzano e mettono in risalto la nostra spiritualità e il nostro cammino di fede, perché non è seguendo la massa che ci assicuriamo la felicità, piuttosto è l’imitazione di Cristo che ci farà sperimentare di essere veri figli di Dio.
Giusi Carcione